Il futuro non è quello di Wall-E

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Mi capita spesso di trarre idee per il blog da film, fumetti, vecchi articoli di giornale.

Colleziono DVD da decenni, e l’altra sera, passando davanti alla parete della libreria dove tengo i miei 4000 titoli mi è saltato all’occhio Wall-E, il film d’animazione Pixar.

Film che a suo tempo, forse per il tema che trattava, non avevo così apprezzato. Troppo spesso a mio avviso i film d’animazione hanno sottotesti troppo profondi per il target di pubblico a cui sono destinati: probabilmente è voluto per incontrare, oltre ai figli, tutti i genitori che li accompagnano in sala.

Visti gli incassi, sicuramente è così. Strategie di marketing eccellenti.

L’epoca di Biancaneve è finita da un pezzo. Ha preso casa col principe azzurro e non ha più dato cenni di vita. Lo so, è uscito un remake, ma non ha incontrato il successo sperato.

La Sirenetta si è persa negli abissi della melassa anni Novanta, e da lì non è più tornata.

Spazio gente, oggi c’è Wall-E.

Ciò che racconta, non so se lo ricordi, è la storia di un logoro robottino cingolato che si innamora di un etereo robot femmina, Eve.

Ovviamente ne fanno di tutti i colori, ma quello che mi ha sempre turbato e allontanato dalla visione del film è il contesto.

Wall-E è un delizioso robot costruito per un solo scopo: restare sulla Terra abbandonata dall’uomo per ripulirla dalle montagne di rifiuti che questo ha lasciato dappertutto.

La visione in campo lungo del “paesaggio” è, a mio avviso, allucinante se pensiamo al messaggio che arriva ai ragazzini mangiatori di popcorn: montagne, cumuli sterminati di rifiuti d’ogni genere, ruggine dappertutto, ossido, polvere, in ogni dove il colore dominante è il rosso. E, come se non bastasse, ogni giorno il piccolo protagonista deve rifugiarsi in un container per ripararsi dalla tempesta di sabbia che si abbatte sull’orizzonte.

 

Io, che sono cresciuto con l’idea di abbandonare la Terra per andare sulle colonie Extramondo di Blade Runner, trovo questo scenario molto più tragico.

Pensando a città come Pechino, l’affollamento e l’inquinamento raccontato da Blade Runner non è poi così lontano.

Parimenti Wall-E, nella sua apparente ingenuità costruita, sta di fatto fotografando esattamente non quello che succederà, ma che sta già accadendo in diverse zone del pianeta.

Peccato che le colonie Extramondo non esistano: ecco una grande differenza che i due film hanno in comune rispetto alla realtà del 2020.

L’unico posto dove possiamo e dobbiamo vivere è questa Terra: mi chiedo se i genitori spieghino questa visione ai loro piccoli.

Io penso e temo di no, altrimenti film come Wall-E non avrebbero incassato vagonate di milioni di dollari.

Avessi un figlio, probabilmente non gli farei vedere il film, ma lo porterei al Museo della scienza e della tecnica di Milano, dove c’è un settore dove si spiega come riciclare, e lo farei riflettere molto molto bene.

In questo momento, sto scrivendo con la mia minitastiera bluetooth davanti allo smartphone, in macchina.

Nonostante io sia sempre stato attratto dalla tecnologia, non cambio molto sovente cellulare.

Il motivo è semplice: quando faccio una scelta di acquisto, giusta o sbagliata che sia la faccio in base al rifiuto industriale che ne deriva, e che noi tutti ci troviamo a pagare a caro prezzo.

In questo momento quella davanti a cui sto scrivendo è una montagna di 80 chili di rifiuti “tecnologici”, di svariate decine di materiali, di diversi ossidi, metalli pesanti, acqua inquinata a ettolitri.

La tastiera sarà solo qualche chilo, ma il discorso è quello.

È il mio lavoro e la mia passione, non ne posso fare a meno: io col cellulare ci vivo. Oltre a quello e a un portatile (e quindi ad altri 80/100 chili di rifiuti), però, non ho molto.

Per fortuna.

È come se, ogni giorno, dovessi tirare un carro di 160 chili di immondizia che non si può riciclare.

Senza un Wall-E che la possa accatastare.

La questione peggiore è che non c’è scampo: in questa economia il costo ecologico dell’incarto degli alimenti è quasi la metà dell’alimento stesso.

Mi sento in colpa? forse sì.

Pensando alle generazioni future certamente sì.

Faccio questo mestiere proprio per sensibilizzare chi ho davanti a questi temi.

Ogni singolo giorno.

Serve? A volte sì.

I ragazzi che nascono con lo smartphone in tasca non hanno che questa Terra.

Sono ‘scatole vuote’ e questo per una volta è un gran bene. Ma riempirle di immondizia non mi pare una soluzione accettabile. Rappresentano il nostro futuro ed è su di loro che dobbiamo, tutti, investire!

Fulvio Rodda